lunedì 4 giugno 2012

Stasera

Un tizio dall’altra parte del bar fissava il tavolo accanto a sé: guardava il ragazzo seduto, o forse la Gazzetta che aveva in mano. Posava lo sguardo sul suo tavolino, abbracciava la donna di fianco, come se dovesse spolverarle la spalla sinistra.
Lei continuava a parlare e a sfogliare qualcosa di piccolo formato.
Sostavano per una buona decina di minuti su ogni pagina. Poi la ragazza si stringeva nelle spalle e si accoccolava contro di lui, che riportava le pupille sul suo tavolo, la abbracciava, le sfregava la spalla con sguardo assente; poco dopo tornava a fissarsi nella direzione del tavolo accanto.
La periodicità del gesto era scandita dallo sfogliare l’opuscolo: lei rimaneva concentrata fino a quando non aveva finito di analizzare due facciate. Solo allora riprendeva a parlare, sollevava la testa per avvicinarsi all’uomo e innescava il domino delle azioni di lui.
Arrivata alla quarta di copertina, tornò nella prima metà del fascicolo, alla ricerca di una precisa pagina. In seguito alzò la testa e si accoccolò, però le sue parole sortirono un effetto diverso nel compagno, che, questa volta, in uno scatto violento lanciò uno sguardo accigliato verso la faccia di lei. Si scostò dalla donna e iniziò a parlarle con voce grave e ad alto volume.
Accese una sigaretta in fretta, aspirò solo due volte e la gettò via. Parlava in modo ancor più concitato, con il fumo che gli usciva dalle narici e continui gesti minacciosi della mano destra, intanto che la sinistra impugnava lo schienale della sedia.
Quando in tono retorico concesse alla donna di rispondergli, prese l’opuscolo e lo scagliò oltre i tavolini, fino a cacciarlo vicino alla gomma sgonfia di un’auto parcheggiata a pochi metri.
Si alzò in piedi, prima che la ragazza potesse rivolgere verso di lui gli occhi che avevano inseguito il moto parabolico dell’opuscolo. Mentre cercava l’accendino nelle tasche dei pantaloni, stringeva una seconda sigaretta tra le labbra, le tuonò: “Stasera si guarda la finale di Champions e basta.”

sabato 2 giugno 2012

Nicotina 0,8 mg

Sigarette fumate: zero.
Sigarette restanti: dieci.
I tavolini del bar in via Orti sono spessi quanto il mio pacchetto di sigarette.
Le forme rettangolari incise sulla loro superficie metallica ne calzano alla perfezione ognuno dei piani: quelle opache sono proporzionate alla faccia maggiore, quelle lucide ai fianchi, mentre le parti bianche ricalcano con precisione cima e fondo del pacchetto.
Ho smesso di fumare. Il pacchetto ancora cellofanato mi piace così, con quel suono elettrico che produce, se sfiorato, e la rassicurante geometria sui bordi ancora velati.
Diventerà un cimelio del mio passato da fumatore, dico ad Anna, che oggi gesticola più del solito. Continua a sfregarsi i gomiti e a nascondere il collo tra le clavicole con le spalle alzate. Nemmeno quando deve gettare la cenere le riabbassa: si sbilancia, rigida, verso uno dei braccioli tra cui è seduta e dà un secco ma lieve colpetto al filtro che stringe tra le dita.
Scommetto che anche la parte di clavicola che le sporge tra i capelli potrebbe ospitare il mio pacchetto di Marlboro alla perfezione.
Lei può fumare. Io no, perché questo è il primo passo per guarirmi, dice: per liberarmi dal mio perenne senso di inadeguatezza e di inferiorità, per eliminare le mie ossessioni, idiosincrasie e illusioni, per guarire dal mio complesso di Edipo.
Ecco perché io non posso e lei si, anche se non riesce mai a guardare negli occhi quello con cui sta parlando.
Anna, che, quando non sta fumando, continua ad arrotolarsi i capelli tra le dita ingiallite della mano destra e, quando invece fuma, procede in quel gesto meccanico e nervoso con la sinistra.
Anna che si è sottoposta a una convalescenza di tre mesi, perché il suo naso pendeva troppo verso destra.
Anna che si vede con le amiche (le stesse dalle superiori) ogni venerdì, per parlare male di quelle assenti, badando bene di non perdersi mai un incontro.
Anna convinta che suo marito abbia un’amante perché la ama troppo.
Anna che non sta mai ferma, soprattutto mai zitta, e che, mentre mi parla, muove su e giù il piede della gamba accavallata senza tregua, producendo un tintinnio costante con gli orecchini aggrovigliati tra i capelli.
Anna fuma un pacchetto da venti al giorno, ma è normale; è come chiunque altro.
Io invece sono indeciso, debole, incapace. Sono l’alienato da guarire, io, perciò non posso fumare.
“Dai, tieni duro, fratellino, il Dottor S. ti ha detto che sei sulla buona strada.
Ci vediamo dopodomani, così mi dici come è andata la vostra seduta.
Ciao.”
“Ciao Anna.”
Anna si allontana dal bar in fretta: le mani stavolta sono occupate a stringere gli spallacci della borsa, danno tregua alle ciocche di capelli.
“Scusa, hai da accendere?”
Sigarette restanti: nove.
Sigarette fumate: una.