martedì 11 settembre 2012

Antologia epistolare da un aldilà. Capitolo III.

Niente.
Gambe niente.
Braccia niente.
Collo niente. Non sento niente.
La sola cosa che riesco ancora a percepire è la testa: posso vedere. È tutto grigio, nient’altro.
Merda! Sarebbe bastato rincasare più tardi, per una volta sarebbe stato meglio andare a letto dopo, non presto.
Poi, proprio ieri sera dovevo spegnere il cellulare? Di sicuro gli squilli preoccupati di mia madre mi avrebbero svegliato; ero stanco, d’accordo, ma lei mi avrebbe convinto a uscire da casa. Sarei andato in piazza, mi sarei trascinato fuori da questo dannato appartamento e adesso non ce l’avrei addosso.
‘Sta catapecchia si è accartocciata non appena la terra ha iniziato a traballare. Non avremmo dovuto farci abbindolare da quell’agente immobiliare, non aspettava altro che un gruppo di studenti lontani da casa, a cui rifilare questo castello di carte al centro della zona più sismica d’Italia.
Ma poi anche noi, dico, chi ce l’ha fatto fare di venire a fare l’università proprio qui? Sapevamo bene che era una zona rischiosa, che c’erano state molte scosse durante lo scorso anno, però, idioti, ci siamo detti: “Che potrà mai succederci?”
Già…
Cosa potrà capitarci di tanto brutto se chiamiamo casa ogni tanto, ci comportiamo bene e non manchiamo gli appelli? Appena arrivati mi hai detto: “Il peggio del peggio è che ci cannino a un esame. Oppure che andiamo in bianco ma, Teo, non credo sarà questo a deludere più di tanto tua madre.”
Invece, Nicola, questa volta ti sei sbagliato. Abbiamo sbagliato. È capitato.
L’impensabile, l’imprevedibile, l’inimmaginabile oggi è toccato a me.
E sai qual è la cosa più scocciante?
Sai cos’è che mi fa incazzare più della nostra imprudenza, più della sfiga e persino più della storia della sicurezza antisismica?
Che solo adesso che il nostro soffitto insieme al pavimento di quelli di sopra mi schiacciano lo stomaco, solamente ora che per respirare dovrei ingerire manciate di polvere e cemento, solo in questo momento mi rendo conto di quanto sia bello vivere.
Non fraintendermi, l’esistenza è complicata, un groviglio di luoghi, persone, idee, talvolta dannati. Poi, tu lo sai bene, di incazzature ne ho avute parecchie e ho maledetto il mondo troppe volte per tenerle a mente. Però fa tutto parte del gioco.
È come quando, da piccolo, sali su una giostra per i grandi: mentre ci sei sopra, sei spaventato, pensi a cosa potrai fare dopo, non te la godi insomma. Quando scendi però, quando il giro è ormai finito e torni coi piedi per terra, ti rendi conto che non era poi così male e nell’arco di qualche minuto arrivi a proporti di farci un altro giro. L’unica differenza è che nella vita non puoi passare a prendere un altro biglietto.
Quindi, Nico, se a te è rimasto del tempo, vedi di crescere.
Cerca di capire che della vita non puoi averne mai abbastanza.

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