sabato 16 novembre 2013

Dialoghi disurbani _1

«Oggi quanti saranno?»
«Secondo me più di ieri.»
«Ieri ce ne sono stati cinque, no?»
«Sei!»
«Ah già, quei due l’hanno fatto insieme. Quando ero giovane io, queste cose si facevano da soli, mica cogli amichetti!» «Non me lo dica, non me lo dica. Mi ricordo ancora il mio primo fratello. Quando lo fece era stato l’unico in tutto l’anno, qui a Milano. La mamma era così orgogliosa che ci aveva portati tutti a vederlo. E prima di lui mi ricordo mia zia.»
«Anche lei era umana?»
«Si, sono passati molti umani nella nostra famiglia. L’ultima è stata mia moglie.» «Davvero?»
«Eh si… Quando ci siamo sposati non lo sapeva ancora, ma poi si è scoperta umana anche lei.»
«E dove l’ha fatto?»
«Lei era di Roma, è voluta tornare giù a farlo.»
«Ho capito. Noi invece non abbiamo avuto tanti umani. L’ultima è stata una cugina della mia bisnonna. E poi mia mamma, io ero appena nato.»
«Pochi casi.»
«Sì. Adesso è spuntata mia nipote.» «Oh, mi dispiace.»
«Già, a quanto pare riesce a piangere. La scorsa settimana a scuola hanno studiato l’apartheid e lei si è commossa.»
«Quanti anni ha?»
«Dunque, fa l’ultimo anno di liceo, quindi… Diciotto.»
«Almeno l’avete scoperto presto.» «Si, infatti.»
«Deve ancora farlo?»
«L’hanno fissata per la prossima settimana. Giovedì, mi pare. Se vuole venire a vederla, saremo alla fermata Maciachini.» «Quella sulla linea gialla?» «Si, quella. Ha deciso di farlo lì, non vuole dare troppo fastidio. È sempre stata timida.»
«Volentieri, non mancherò. La fascia oraria è questa pomeridiana?»
«Si, dalle 14 alle 16. Lei è la seconda.»
«Perfetto. Senta, le va se ci spostiamo più avanti? Qui in fondo alla banchina non si vede niente.»
«Ha ragione, non si sente nemmeno l’impatto del corpo contro il treno.»
«Allora è meglio se ci sbrighiamo: la metro arriva tra due minuti e quello là è certamente qui per buttarsi.»
«Dice? Ho dimenticato a casa gli occhiali.»
«Scommetto che è umano.» «Perché?»
«Guardi: ha i pantaloni bagnati.»

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