domenica 26 giugno 2016

Cardiogramma

La voglia
insofferente
di avere il possibile in pugno
e stringere
poterlo chiudere fino a
dimenticarmene.
Manca il fiato,
fisso le mosche
compagne di inutilità
a tempo indeterminato,
il cuore stantuffa
extrasistole:
penso troppo
a nulla credo.
Questa poesia è
un attacco di panico
scampato.
Voleva essere
una poesia d’amore
in cui vivo
al mare
perché così posso sentire
nei tuoi capelli
la salsedine
sulla pelle
quando ci fondiamo
per assomigliarci un po’ meglio.
Voleva la sabbia tiepida
di fronte a un tramonto
la musica delle onde
i sospiri della risacca
e la bontà
delle storie di gente di mare
dei miei nonni
che ho dimenticate.
Voleva la tachicardia
di una corsa in spiaggia
col mare mosso
una volta c’erano i cavalloni
dovevi correre
scegliere
quale scarpa salvare.
Di quando scivoli
sugli scogli:
un grido
un braccio
una mano che ti afferra.
Livido e sorriso.
Di quando fai
l’amore.
Voleva essere una poesia
semplice;
acqua
farina,
un filo d’olio
sale e pepe,
cotta in teglia di rame
servita avvolta nella carta
del giornale.
Voleva solo
i brividi di una carezza
della tramontana
del sole che hai preso
quando è scesa la sera.
Del gelato
di quando non avevo
un gusto preferito
bastavano mille lire
e senza sensi di colpa
mi ci sporcavo tutta.
Anche il fiatone
a rincorrere l’uomo
dei krapfen
e le vertigini sotto il sole
nelle ore più calde,
perché dei servizi
di Studio Aperto
non te ne frega una minchia,
o comunque non vuoi
essere un anziano
da bollino nero.
Questa poesia voleva
tante cose
– almeno lei.
Ma, soprattutto,
voleva
essere letta.